In un precedente articolo si era accennato al fatto che il latifondo di Scorzarolo pervenne al convento di S. Domenico di Brescia per mezzo di un paio di testamenti: il primo di Giovanni Testa del 1487 ed il secondo del 1514 di Luigi Testa, figlio di Giovanni. È da sottolineare che, dall’inizio del XVI secolo fino ai nostri giorni, il vasto latifondo cambiò di proprietà una sola altra volta, nel 1797, allorchè il Governo Provvisorio Bresciano decretò la soppressione del convento di S. Domenico e dispose che tutti i beni passassero all’Ospital Nazionale di Brescia.
La presa di possesso da parte dei frati di S. Domenico nel 1514 non avvenne però senza intoppi: alcuni parenti contestarono l’efficacia del testamento e ne nacque una disputa che si protrasse per decenni.
Un interessante manoscritto1, ripescato tra le carte dell’Archivio di Stato di Brescia, ripercorre le vicende immediatamente seguenti alla presa di posssesso del latifondo di Scorzarolo e Cadignano da parte del convento di S. Domenico di Brescia, in seguito all’apertura del testamento di Luigi Testa, il 7 ottobre del 1514.
Il manoscritto non riporta la data e nemmeno l’indicazione del redattore. Il periodo è certamente appena posteriore al 2 settembre 1768, poichè in quella data è emanata una ‘Polizza d’Incanto’, da parte dell’autorità veneziana con la quale si pongono in vendita all’asta 75 piò2 di terra del latifondo di Scorzarolo. La necessità di rimarcare la storia del latifondo deriva dalla opportunità, per i frati di S. Domenico, di sottrarsi alla vendita forzata dimostrando che detti beni non furono acquisiti dall’ente religioso dopo il 1605.
Occorre ricordare che nel 1536 una legge del Senato della Repubblica3, riprendendo un’antica decisione del Gran Consiglio, stabilì che ‘tutti i beni immobili di questa città non siano, attraverso legati e donazioni, accaparrati dai religiosi’ e ne ordinò la loro messa in vendita all’asta pubblica nel tempo massimo di due anni. Nel 1605 tale legge venne estesa a tutto lo Stato, obbligando gli enti religiosi a porre in vendita gli immobili pervenuti dopo tale data, in difetto l’autorità avrebbe dovuto provvedere d’ufficio con pubblica asta.
I frati di S. Domenico con questa relazione -si tratta con buona approssimazione della minuta del documento ufficiale- riescono a dimostrare che i 75 piò di terra, oggetto della temuta asta e già di proprietà di Francesco Parma, facevano parte del latifondo ricevuto in eredità dal lontano 1514 dopo la morte di Luigi Testa.
Il testo è abbastanza scorrevole e di facile comprensione, pertanto se ne riporta integralmente la trascrizione. Il titolo è eloquente: ‘Rapporto alli Piò n. 75 situati nello stabile di Scorzarolo, che erano soggetti alla legge 1605’.
Primieramente convien sapere, che li PP. [padri] di S. Domenico di Brescia in vigore del Testamento del g.m [?] Sig. Giovanni Testa 24. Gennaio. 1487. rogato dal Sig. Giacomo Francesco della Torre, e di quello del Sig. Luiggi suo figlio rogatto li 6. 8ttobre. 1514. dal Sig. Alberto Civili furono dichiarati Eredi universali di tutti i loro Beni, che avevano in Cadignano, e in Scorzarolo Territorio Bresciano a riserva di molti Legati, che sono descritti ne suddetti Testamenti.
Giovanni Testa, proprietario del latifondo di Scorzarolo e Cadignano aveva disposto che alla sua morte il latifondo andasse al figlio Luigi Testa, costui, senza eredi discendenti, con il testamento citato lascia il latifondo al convento di S. Domenico in Brescia.
Morto il mentovato Sig. Luigi senza discendenti Maschi li 7. 8ttobre. 1514. tre Nobili Bresciani nipoti del medesimo a cagione delle loro Madri, che erano di Lui Sorelle, cioè li SS.ri Ugoni, Bargnani e Ganassoni pretesero tutta la detta eredità, e ne presero il possesso delle tre parti ogniuno occupando la sua. Ne nacque quindi una aspra lite, la quale, come si ha dall’Istoria ridusse il povero convento di S. Domenico ad extrema inopia4. I Sig.ri Ugoni però dopo aver fatto spendere moltissimo ai Religiosi, fecero nel 1516. la loro transazione, e rilasciarono la parte di Beni da loro occupata con questo, che i Frati pagassero sul fatto cinquecento Scudi d’oro e poscia altri otto milla da pagarsi il frutto finchè fosse estinto il Capitale, il quale non si è potuto totalmente estinguere se non nel 1668 come rilevasi dalle memorie del Convento; la qual transazione fù confermata con sua Bolla dal Sommo Pontefice Leone X.
Se diamo credito all’ignoto autore della relazione, i nipoti avrebbero impugnato il testamento dello zio subito il giorno dopo il rogito del notaio. Inizia così una lunga diatriba che giungerà fino al tribunale della Sacra Rota di Roma, oltre a quello della capitale, Venezia.
Dopo il tribunale di Brescia, anche la Sacra Rota di Roma, alla quale si erano rivolti i nipoti Bargnani e Ganassoni, dà ragione ai frati di S. Domenico, obbligandoli però a riconoscere ai nipoti la quota ‘legittima’ delle rispettive madri. I religiosi si appellano e riescono a dimostrare che la quota legittima era già stata accordata alle sorelle dal testatore stesso e che, secondo gli Statuti della Città di Brescia5, nulla è dovuto oltre la dote.
Frattanto Li S.ri Bargnani, e Ganassoni tenevano il possesso delle altre due parti di detti beni, cò quali perciò dovette il Convento sostenere una lunga dispendiosissima lite. Fù questa trattata prima in Brescia, poscia dalli Avversarj portata nella Sagra Rota Romana. Riportarono i Frati tre sentenze favorevoli, e conformi, nelle quali vengono dichiarati Eredi universali di detti S.ri Testa con la clausola però che a SS.ri Bargnani, e Ganassoni si dovesse compensare la legittima, la qual clausola vi fu posta, come riflettesi nell’Istoria di questa lite scritta da Autor vivente in quel tempo, perche non era noto alli Auditori della Sagra Rota lo Statuto di Brescia, il quale stabilisce, che quando le Femine sieno dotate, non possino i loro figli pretender legitima alcuna, nemmeno in supplementu dotij, né erasi peranco provato, come lo fù dopo, che le Madri dei detti Sig.ri avevano già avuta la loro Dote. Si propose poscia dall’istessa Sagra Rota un accomodamento nell’anno 1526., il quale per mezzo dè rispettivi Procuratori fu accettato d’ambe le Parti, e fu rimesso il tutto all’arbitrio di Monsignor Giacomo Simonetta Vescovo di Pesaro, e Auditore della stessa Sagra Rota; per esecuzione del quale i detti SS.ri rinunziarono i legati dei due Testamenti, ed accettarono la legitima, e ritennero per se una certa parte delle possessioni di detta Eredità rilasciando il rimanente al Convento, come costa dall’Istromento rogato dal Notaro Girolamo de Purgatori sotto il di ultimo Gennaio 1527. ma perche eransi ritenuti una maggior quantità de Beni di quello portasse la detta legitima, la Sacra Rota ordinò che fossero eletti due Giudici Ecclesiastici, i quali eleggessero due Stimatori de’ beni, a quali fu poscia aggiunto il terzo. Fratanto proseguivansi la lite con gran dispendio del Convento, il quale oppresso da molti debiti ascendenti alla somma di L19000., e più di Planet,

AS Bs – Ospedale Maggiore – busta 1443-13
Il convento, per far fronte ai debiti contratti, vende a Ser Francesco Parma 136 piò di terra posti nella parte di sera del latifondo di Scorzarolo in data 27 febbraio 1532.
I nipoti Bargnani e Ganassoni vengono scomunicati ed interdetti per ordine del sommo pontefice, non avendo ottemperato all’ordine di lasciare i terreni al convento.
come rilevansi dal libro antico de consigli pagina 68., fu costretto per sodisfare a creditori a vendere a Ser Francesco Parma cento trentasei Piò di terra situati be’ confini della Tenuta di Scorzarolo, a parte di sera rispetto a tutta la tenuta medesima, come dice il libro Magistrale […], cioè dè crediti alla pag. 100., in cui vien descritto l’Istromento della detta vendita rogato sotto il di 27. Febraro 1532. dal Notaro Girolamo da Ello6. Fatti gli estimi dè Bargnani, e Ganassoni, e presentati dai calcolatori alla Sagra Rota, persistevano essi nel possesso delli mentovati beni eccedenti la porzione legittima. Furono perciò scomunicati ed interdetti dal Sommo Pontefice fin tanto che avessero sodisfatto a ciò, che era stato da que’ Giudici decretato, e spedite le lettere esecutoriali a tal oggetto; per obbedire alle quali i detti SS.ri rilasciarono una parte delle terre in Scorzarolo al Convento, e ne ritennero un’altra parte cioè 84 Piò di terra per la pretesa legitima, lo che fu accordato dai rispettivi procuratori, come rilevasi dall’Istromento rogato in Roma dal Notaro Giovanni Grave sotto il di 6.xdicembre 1536. perche però eravi da liquidarsi ancora i frutti goduti dalli Avversarj in nove anni cioè dal 1518. Sino al 1526 inclusivi, ed altre spese, furono perciò condannati a pagare al convento undici mila settecento scudi d’oro.
Il ricorso alla Sacra Rota si conclude con l’assegnazione di 84 piò come quota legittima ai nipoti Bargnani e Ganassoni, ma questi dovranno pagare 11.700 scudi d’oro al convento per i nove anni di godimento del latifondo.
Evidentemente i nipoti non intendono sborsare tutto quel denaro, perciò i frati intentano un nuovo ricorso a Roma chiedendo il possesso degli 84 piò, in compenso del risarcimento in denaro mai ricevuto.
Sovra di che convenne a Padri fare altre spese, non volendo i nominati Signori sborzare al Convento il detto danaro. Ed infatti seguitò ancora la lite in Roma, ed uscirono su questo particolare altre tre sentenze favorevoli al Convento medesimo cum invocatione brachii secularis del Principe Serenissimo, il quale nel 1541. conosciuta la ragione dei Padri con sua Ducale comandò l’esecuzione delle dette Sentenze Rotali, e ingiunse all’Eccellentissimo Podestà di Brescia che mettesse nel possesso delli detti 84. Piò di terra i Padri pel Pagamento delle undici mila settecento scudi d’oro, come in fatti avvenne, e si vede dalle stesse Ducali sotto il di 14. 8ttobre. 1541., e dall’Istromento rogato dal Notaro Pretorio Giovan Caijti del di 24. 9vembre. dell’istesso anno.
Contro questa sentenza i nipoti oppongono appello a Venezia, potendo così, almeno provvisoriamente, rientrare in possesso degli 84 piò. Degli scudi d’oro, però, nessuna traccia.
Riusci però alli Avversarj dopo alcuni mesi di rientrare in possesso delli stessi beni attesa l’apellazione da essi interposta al Tribunale delli Eccellentissimi […]sori in Venezia, la qual causa è rimasta sospesa ed i poveri Religiosi (che non avevano più modo di litigare a cagione della loro povertà) restarono privi dei detti undicimila settecento scudi d’oro, de’ quali non v’è memoria, che sieno stati pagati.
Queste notizie si sono premesse come necessarie a provare l’assunto. I beni adunque sovra nominati, acquistati dal Convento di S. Domenico di Brescia oltre essere tutti incorporati, e inviscerati nelli altri beni del Convento, e appartenenti all’eredità Testa, sono in parte un residuo di que’ Piò 136. venduti a Francesco Parma, e in parte provegnenti dalli 84. Piò accordati nell’accomodamento a Ganassoni nel 1530.

E che ciò sia vero si prova dal confronto tra gli uni, e gli altri. Primieramente convengono ne’ loro confini generali. Li beni Parma erano posti secondo il suddetto Libro magistrale alli confini della Tenuta di Scorzarolo, e a parte di sera rispetto a tutta la Tenuta medesima. Quelli provegnenti da SS.ri Ganassoni erano tutti a monte rispetto a tutto Scorzarolo, come costa dalla Poliza d’Estimo dell’istessi SS.ri presentata nel 1588. Questi pure sono li confini de’ beni ora posti in vendita, cioè le tre Brede col Giacomazzo, e Lisignolo olim7 de’ SS.ri Ganassoni, e descritti nella Poliza 1614. sono à monte e gli altri
allialli confini della Tenuta, e a parte di sera rispetto à tutta assieme la Tenuta medesima.
Convengono pure ne’ particolari confini come si dimostra nella carta qui annessa à riserva di alcuni confinanti, che si sono mutati in una si gran lungezza [sic] di tempo, cioè dal 1532., e 1536 al presente. Oltre i detti argomenti, che chiaramente dimostrano l’assunto, ne abbiamo un altro preso dal testimonio giurato de Contadini più vecchi di Scorzarolo, allorchè interrogati nel 1621. per ordine sovrano dall’Ecc[…]ta Fiscale della magnifica Ducale Camera di Brescia, deposero che tutti erano anticamente Beni de Reverendi Padri di S. Domenico.
Al quale si può aggiungere, che confrontate le Polize d’estimo 1614., e 1634. concordano a meraviglia co’ beni de’ quali ora si tratta; sicchè resta provato che li Piò 75. pervenuti al Convento di S. Domenico di Brescia dopo la Parte del Serenissimo Principe [?] 1605. sono di que’ medesimi, che anticamente erano dell’istesso Convento, parte venduti a Ser Francesco Parma, e parte nell’accomodamento 1536. ritenuti per vicendevole accordo da SS.ri Ganassoni.
Rimane un ultimo dubbio da chiarire, ovvero come i frati siano rientrati in possesso dei 136 piò di terra già venduti a Ser. Francesco Parma.
La relazione si conclude ricordando le ingentissime spese sostenute dal convento, nonché con la puntualizzazione di essere ancora creditori -due secoli dopo!- dei Sigg. Bargnani e Ganassoni per l’antica cifra di undicimila e settecento ducati d’oro.
Restano ancora altri riflessi, che ponno giovare all’intento, cioè la estrema necessità in cui ritrovavansi i Padri per cagione delle immense spese nella suddetta lite, la quale gli obbligò a vendere, e a cedere parte del loro patrimonio lasciatogli dai SS.ri Testa; e gli undici mila settecento scudi d’oro da sborsarsi loro da SS.ri Bargnani, e Ganassoni per tre sentenze Rotali, e per Decreto del Serenissimo Principe, de quali sono ancora creditori, non trovandosi memoria che siano stati in ciò sodisfatti.
- AS Bs – Ospedale Maggiore – busta 1443-13 ↩︎
- piò = antica misura agraria bresciana corrispondente a 3.255,3938 mq. ↩︎
- V. Sandi – Principj di storia civile della Repubblica di Venezia, 1761 – pag. 735 ↩︎
- Inopia = mancanza totale di mezzi di sussistenza ↩︎
- L. Bigoni – Statuti Civili della Magnifica città di Brescia volgarizzati – Brescia, 1776 – pag. 198 ↩︎
- Ello, denominazione antica di Dello, nella pianura bresciana ↩︎
- Olim = un tempo ↩︎
(*) L’immagine in testata è tratta dal film ‘Il nome della rosa’ https://www.11marzofilm.it/il-nome-della-rosa-2018/