L’inizio del diciottesimo secolo segna una importante novità nell’economia della conduzione rurale del latifondo di Scorzarolo.
È infatti nel 1704 che i frati di S. Domenico procedono ad una riscrittura di tutti i contratti di conduzione delle diverse porzioni nelle quali era stato suddiviso il latifondo. La vasta possessione risulta infatti suddivisa in otto parti più o meno grandi, così denominate: fienil de Liffretti, fienil del Bosco, fienil Nuovo, fienil del Parma e Colombera, le Lame, la Vigna, le Cave e San Pietro.
È verosimile che la riscrittura di tutti i contratti sia stata fatta per permettere un più redditizio sfruttamento della possessione, per averne un maggior vantaggio, ovviamente a favore della proprietà, altrimenti non si spiegherebbe tanta solerzia.
Dalle polverose carte riemerge, con tutta la meticolosità e la puntigliosità del proprietario-signore che non vuole lasciare nulla al caso, il contratto per la conduzione del fondo delle Cave, stipulato il 31 maggio 1704 con i massari Paolo e Pietro Cò di Verola Vecchia.
Qui sopra sono evidenziati i campi indicati come Cava, Madonnina e S. Firmo, che possono ricondurre alla composizione del fondo. Non abbiamo notizia esatta degli appezzamenti che componevano il fondo delle cave; la superficie qui evidenziata è di circa 25 ettari e sembrerebbe, per le modalità di coltivazione dell’epoca, eccessivamente grande. Oltre ai campi da coltivare, al massaro spettava anche l’abitazione e l’uso dei fabbricati rurali.
Se escludiamo i fondi di Liffretti, del Bosco, Fienil Nuovo, Parma e Colombera, che erano -e sono- dotati di cascine situate sul proprio fondo, i rimanenti, e cioè Lame, Vigna, Cave e San Pietro probabilmente avevano la propria cascina nel borgo di Scorzarolo. E nella mappa del 1655 si vedono bene le quattro cascine di Scorzarolo che verosimilmente ospitavano i quattro massari e le loro famiglie.
Occorre dire subito che il contratto in esame è un contratto di mezzadria, ovvero tutte le entrate e le uscite si dividono a metà, mentre la manodopera è fornita dal mezzadro e il fondo, già produttivo e con i fabbricati rurali, è fornito dal proprietario. Diversamente però da ciò che s’intende oggi per mezzadria, nei contratti di quell’epoca il ‘massaro’ era gravato da ulteriori obblighi, quali: giornate di lavoro, carreggi e regalie a favore della proprietà.
Si tratta di un documento inedito, molto importante, che mostra in modo tangibile quali fossero i rapporti di forza tra i grandi proprietari terrieri e i contadini che del lavoro della terra traevano il loro diretto sostentamento. Un rapporto non molto dissimile da quello dei mediavali servi della gleba. Come i loro predecessori infatti, questi contadini del XVIII secolo erano legati indissolubilmente alla terra che lavoravano ed era praticamente impossibile affrancarsi da questa condizione.
Si nota subito che il contratto riporta in alto a sinistra: ‘Scritto della Possessione delle Caue con Paolo con Pietro Fratelli Cò’. In particolare, la preposizione ‘con’, davanti a ‘Pietro’, pare aggiunta da altra mano e le parole ‘con Paolo’ e ‘fratelli’ sono cancellate con tratto di penna. È probabile quindi che inizialmente il contratto sia stato stipulato con i fratelli Cò e in seguito, forse per qualche impedimento di Paolo -malattia, morte-, il contratto sia stato rinnovato col solo Pietro.
In calce il contratto è controfirmato da Paolo e Pietro ‘con segno di croce per non saper scrivere’, poi vi sono alcune note aggiunte rispettivamente il 21 ottobre e il 22 novembre dello stesso anno; quindi una nota successiva datata 22 giugno 1712 è firmata dal solo Pietro Cò. In particolare la nota del 22 novembre riporta: ‘fu accordato con Giouan Paolo Cò che lauora la posetione della uigna…’. Purtroppo non vi sono riferimenti utili per scoprire se Giovanni o entrambi i fratelli Cò avessero assunto anche la conduzione di quel fondo.
Disposizioni generali e conduzione del fondo
Innanzi tutto è da notare che il contratto inizia ‘à S. Martino prossimo di quest’anno 1704’ e terminerà alla ‘festa di San Martino dell’anno 1707’. La festa di S. Martino, che cade l’undici novembre, segna da sempre l’inizio dell’annata agraria: i raccolti sono stati tutti ricoverati e le semine non ancora iniziate. È il momento quindi di tirare le somme dei raccolti e programmare il futuro. Ancor oggi l’espressione ‘fare San Martino’ è sinonimo di ‘trasloco, cambiamento’, e così, anche per i nostri massari, a fine maggio si stipula questo contratto, in previsione dell’insediamento sul nuovo fondo che avverrà a partire dall’undici novembre.
Ma veniamo alle clausole -i capitoli- del nostro contratto, scritto fitto fitto su sei fogli fronte e retro. Certamente al massaro compete la sorveglianza del fondo, affinchè non siano fatte ‘usurpazioni o dannificazioni da chi si sia’, ovvero tagli di alberi, pascoli abusivi, ecc. e in tal caso il massaro deve avvertire immediatamente i Padri, pena il risarcimento del danno. Se invece si tratta di rotture di fossi, il massaro deve immediatamente ripararle, ‘altrimente sarà fatta riparare dalli Padri e saranno tenuti al risarcimento di tutti li danni’. Per quanto riguarda i fossi irrigui, il massaro deve ‘tener buona cura di tutte le chiauiche e condotti d’aque’ e curare tutti i fossati adaquadori.
Per la buona conduzione del il fondo, il massaro deve mantenere obbligatoriamente ‘para quatro di bovi buoni e due cavalli’, inoltre il fondo deve essere arato almeno tre volte all’anno ‘in buona e lodeuol forma’. Le colture tutte occorre ‘arpeggarle, sgraminarle et restelarle’ mettendovi tutte le sementi proprie ‘in quella quantità che sarà bisognevole’, ma la semente dovrà ‘esser ben conza, purgata veduta prima ed approvata’ dai frati o loro agenti.
Non è consentito al massaro ‘seminar risi senza licenza de Padri, od in quella quantità conueniente che li sarà assegnata’. E veda bene il massaro di ‘hauer tagliato le stoppie auanti San Giacomo Apostolo‘, altrimenti saranno obbligati a dare al Convento ‘tanto fieno a proporzione di quanti piò di stoppia ch’auranno lasciato di tagliare’.
Prati e pascoli
I massari possono far pascolare gratis i prati dei padri, ‘ma solo nella quantità di manco danno e tempo che li sarà assegnato’ che al massimo sarà di quattro piò, e solo dopo che i prati ‘saranno segati, e leuato tutto il fieno’. La pena per i trasgressori è il ‘risercimento de danni in doppio’.
La vigna e la vendemmia
L’uva che si ricavasse da un’eventuale vigna, da impiantarsi a cura dei massari e del convento in parti uguali, ma che i massari saranno tenuti a ‘farle tutte quelle funzioni ogn’anno che sono necessarie per ben alleuarle e mantenerle’, dovrà essere raccolta dai massari ‘auuta prima la licenza da Padri’ e condotta la metà al convento. Però, se i frati volessero ‘cernirne qualche puoca quantità d’uua senza pregiudicio de massari saranno Padroni di farlo’.
Allevamento
I massari non possono allevare più di ‘due manzoli, e quattr’oche’, però, se ne vogliono tenere di più dovranno dare al convento ‘due occhi [oche] belli e buoni ed ingrassati’.
Dovranno però allevare e mantenere ‘due Animali porcini da grassa’ che saranno a suo tempo, dopo la macellazione, divisi a metà e per questa incombenza riceveranno dal convento ‘un sacco di melega ò crusca per ciaschuno’.
Taglio di alberi
Il massaro deve aver cura di ‘piantar palli, pioppe ed altro doue mancheranno’, ma non può ‘tagliare o scalvare alberi … senza special licenza de Padri sotto pena di 20 lire planet per ogni albero’ ma è obbligato a tagliare tutte le legne secche e condurne la metà al ‘legnaro’ del convento ‘schieppandole e immedandole’ per bene. Però i padri si riservano di far legna in modo autonomo, con ‘obligo alli massari di condurla gratis al legnaro’.
Macinatura dei grani
I massari sono obbligati a ‘maccinar tutto il grano per il suo uso al detto molino di Scorzarolo e far pistar tutto il risone alla pistadora d’esso luogo’. Nessuna deroga quindi, anche se il mugnaio dovesse essere un po’ birbantello!
Miglioramento del fondo
Il massaro è anche obbligato ‘ogn’anno a carrettare e trainare almeno per otto giorni’ livellando le terre e ‘dandole i suoi sguoli’. E questo va a sfatare un mito antico, che vuole le terre di Scorzarolo tutte livellate dai frati. Così ci raccontavano i nostri vecchi, e noi ragazzi immaginavamo questi buoni frati, animati dal motto ‘ora et labora’, faticare da mattina a sera per rendere più produttivo il fondo. La realtà è del tutto diversa e racconta una gestione da parte dei padri di S. Domenico nè più nè meno uguale agli altri possidenti latifondisti.
Trasporti e carreggi
La metà di tutte le entrate grosse e minute che si raccoglieranno sul fondo dovrà provvedere, il massaro, non solo a condurre la parte dei frati al convento, ma ‘pure in una delle due Virole, e il lino a linaroli’ e anche ‘sino a Ponteuico o a Dello e l’entrate dei grossi a Brescia’ e facendo ‘tutti que carreggi che saranno necessari’. E se il massaro rifiuta qualche trasporto, dovrà ‘bonificar à Padri tre scudi per ciaschun carreggio’ non eseguito. Dovrà anche provvedere ad ‘andar à prender la paglia per far il letto alle vacche’ del convento, ‘doue sarà comprata da Padri’.
E se i Padri volessero un bel giorno sistemare l’aia grande del convento, oppure il portico, potrebbero sempre contare su tutti i massari ‘obligati pro ratta a condursi la Terra necessaria’ e conseguentemente, ararla secondo il comando dei padri.
E sono pure obbligati a ‘condur calcina, quadrelli, coppi, legnami, pietre, feramenta ed ogni altra cosa bisogneuole, e necessaria per tutte le fabriche, edificij, ponti, canali, chiauegoni, chiaueghetti, ed altro’ ovviamente ‘gratis andando a pigliar detta robba doue sarà il bisogno’. È da sapere per esempio che il posto più vicino per procurarsi la calcina è al ponte crotte di Brescia! La stessa cosa dovrà essere fatta per eventualmente procurare le ‘pietre che potessero occorrere al Molino ed al Torcolo di Scorzarolo’.
I massari sono anche obbligati ‘d’andare doue bisognerà à prender il uino per il bisogno di detto luogo e tutto questo gratis ad rattam‘. Da un altro documento si capisce dove si doveva andare a prendere il vino per i Padri, esattamente a Gussago, dove i frati di S. Domenico conducevano la possessione della Santissima, la cui maggior ocupazione era la vigna e la maggior produzione era appunto il vino. Si ha notizia infatti che dal 1692 al 1695 e dal 1707 al 1709 i frati della Santissima riforniscono, oltre alla casa madre in città con una settantina di zerle, anche il convento di Scorzarolo con due o tre zerle, solo vino bianco, però. Una zerla corrisponde a circa 48-50 kg.
Nel caso i Padri volessero far una fornace ‘di coppi quadrelli tauelle ed altro per beneficio del luogo e fabriche’, i massari saranno obbligati a ‘condur pro ratta la legna e il sabbione ed il bisogneuole’. Inoltre dovranno trasportare il materiale finito ove servirà, nonchè dovranno anche provedere ‘à spianare ed uguagliare le buse della detta fornace’.
Regalìe
Che siano ‘obligati li detti Massari di dare ai Padri di souuenzione Piò due di lino ad elettione e piaccimento’; quindi due piò di lino, ‘studito come l’altro’, che non rientra nella divisione in parti uguali, che sia però di gradimento dei padri.
Inoltre ‘para quattro Capponi grossi e grassi à San Martino, e para due Polastri à San Giacomo Apostolo, et oua cento alla Pasqua di Resurrezzione’, quindi otto capponi a novembre, quattro polli a luglio e cento uova alla S. Pasqua.
Denaro in prestito
Una delle clausole finali stabilisce che, trascorsi i tre anni dall’inizio della conduzione, se i massari volessero lasciare il fondo per qualsivoglia motivo, ne dovranno dare comunicazione ai padri entro il mese di maggio. Allo stesso modo dovranno fare i padri, se volessero cambiare massaro. Tuttavia, nel punto appena precedente a questo, i massari confessano d’aver ricevuto dai padri ‘scudi cento da lire sette piccole l’uno di souuenzione’, che dovranno essere restituiti al momento del rilascio del fondo.
E con questa ultima clausola si sancisce il definitivo ed indissolubile capestro che lega il massaro alla terra da coltivare. Egli, certamente può lasciare il fondo, ma dovrà restituire il denaro ricevuto. E quando mai avrà a disposizione il denaro, se il ricavato dalla coltivazione della terra basterà a malapena a sfamare lui e i suoi famigliari.
Infatti, non si ha notizia di altri cambiamenti nella conduzione della possessione delle Cave se non in data 16 maggio 1722, quando ‘Resta accordata la Possessione suddetta à Giouan Battista Sabaino con suoi Fratelli’.
Conclusioni
Sono passati diciotto anni da quel 1704, da quando Pietro Cò ha accettato di condurre il fondo col fratello Paolo, non abbiamo notizia che si possa essere affrancato saldando il debito al convento, è più probabile che abbia dovuto abbandonare per motivi di salute, o di vecchiaia, o di decesso, in ogni caso una vita distrutta dalla fatica.
La sua famiglia, verosimilmente, avrà dovuto abbandonare il ‘luogo’ di Scorzarolo a favore del nuovo subentrante, dovendo oltretutto ringraziare i padri per la magnanimità di non aver preteso da loro la restituzione del denaro prestato.
Una successiva ricerca ha portato alla luce le vicende successive dei massari della Cava. Leggi il seguito
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