La serie dei mugnai nel XVIII secolo
Trattiamo qui di uno dei quattro opifici che erano al servizio del possedimento dei frati di San Domenico di Brescia in Scorzarolo di Verolavecchia. Con non poca fortuna abbiamo potuto consultare una copiosa serie di documenti del XVIII secolo che trattano appunto dei personaggi che si sono succeduti alla conduzione del mulino di Scorzarolo dal 1723 al 1799.
Il nostro umile e sentito ringraziamento va a quanti, nel corso di centinaia di anni, hanno avuto cura di raccogliere e conservare questi documenti, confidando che un giorno sarebbero emersi per raccontare uno spaccato di vita di quel tempo.
Quattro mulini ad acqua
Dalla planimetria del 1807 del possedimento dei frati di S. Domenico di Brescia a Scorzarolo, vediamo che a valle del ponte sul vaso Lusignolo esistevano allora quattro edifici, due per parte, contenenti le macchine mosse dalla forza dell’acqua a servizio del latifondo. Ancora oggi dal ponte sono ben visibili le partizioni delle acque e gli scivoli in pietra; sulla destra erano posizionati il ‘torcolo’ e più in basso il mulino di cereali a due ruote, e sulla sinistra la ‘pestadora’ da riso e, di sotto, la segheria.
Per la verità, anche in una mappa precedente, forse di cent’anni prima, vi è la stessa indicazione, annoverando una ‘molla da oglio’ che corrisponde al nostro ‘torcolo’ (torchio). Questi quattro edifici, dopo il progressivo abbandono causato dall’industrializzazione, vennero definitivamente smantellati e demoliti intorno agli anni sessanta del secolo scorso, probabilmente nello stesso periodo della demolizione della chiesetta di San Pietro, oggetto di un precedente articolo. Se si volesse un giorno indagare con qualche accortezza le sponde del Lusignolo a valle del ponte, si potrebbe magari riscoprire qualche traccia interessante dei quatto opifici.
Gli opifici di Scorzarolo con tutta probabilità furono oggetto di una importante ristrutturazione nel 1653. Questo è quanto emerge da una corposa nota, una sorta di ‘libretto delle misure’ che riporta un lungo elenco di pietre, con le relative dimensioni e prezzo, utilizzate verosimilmente per il rifacimento delle canalizzazioni e degli scivoli d’acqua, in particolare quelli del mulino e della segheria (ràsegå). In dieci pagine fitte fitte, redatte il 9 agosto del 1653, si tratta ‘delli quadretti de pietre poste nelli edeficii per mano de me Antonio Mafeis da regiato [Rezzato?] misurati con lasistenza de messer Giovanni Battista Martinello da Gabiano’.
Notizie più certe sulla costruzione dei mulini e sulle loro caratteristiche si avranno solo se, con un poco di fortuna, si potrà toccare con mano qualche documento più specifico.
La serie dei mugnai nel XVIII secolo
Come si diceva, i documenti arrivati fino a noi ci illustrano la serie dei mugnai che si sono succeduti alla conduzione del mulino di Scorzarolo dal 1723 al 1799. Il primo documento che ci è dato di conoscere è datato al 19 giugno 1722, quando i padri di S. Domenico affittano il mulino ‘à Domino Domenico quondam [fu] Giovanni Battista Albrici della terra del Fianello, attuale molinaro in Verola Vecchia’, per tre anni tacitamente rinnovabili, con inizio il primo gennaio 1723 e termine il 31 dicembre 1725. Il contratto viene successivamente rinnovato nel giugno 1725, sei mesi prima della scadenza, per altri tre anni dal gennaio 1726 al 31 dicembre 1728.
Qualcosa deve essere andato storto se il primo giugno 1726 è la data di inizio di un nuovo contratto di affitto stipulato con ‘Francesco Miorello, e Stefano Antonio Miorello Padre e figlio della terra di Gabbiano’, ma il contratto dura solo sei mesi. Infatti il 2 gennaio 1727 viene stipulato un nuovo documento con decorrenza dal giorno precedente 1° gennaio 1727 con ‘domino Innocente e domino Francesco padre e Figlio Guindani di Verola Alghise’ per tre anni fino al 31 dicembre 1729.
Prima della scadenza, nel luglio 1729, ritroviamo degli Albrici. Questa volta sono ‘Laora et Giovanni Battista, et Pietro e Tomaso Madre e figlioli Albrici habitanti in Virolavechia’ che stipulano un contratto di affitto con decorrenza il primo gennaio 1730. Ci piace pensare che siano la moglie e i figli dello stesso Domenico di otto anni prima, forse impedito -o deceduto- proprio all’inizio della prima proroga nei primi mesi del 1726.
Non si hanno altre scritture fino al gennaio 1745, quando il ‘Sindico’ del convento di S. Domenico di Brescia ‘dà ad afitto come così a dato ed affitato, anzi raffermato, il molino di Scorzarolo alli domini Giouanni e Giuseppe, fratelli Baiguera’ per una locazione che avrà inizio solamente un anno dopo, il primo gennaio 1746 ma si tratta della prosecuzione (raffermato) di un contratto precedente, come detto. Non disponendo del contratto precedente, non abbiamo idea di quando i fratelli Baiguera subentrano a Laura e figlioli Albrici nella conduzione del mulino.
Questa scrittura del 1745 è importante perchè il contratto-tipo viene riscritto completamente di nuovo, con nuovi capitoli che saranno sempre richiamati nei contratti successivi. Per il vero i nuovi capitoli non si discostano molto dai precedenti, ma evidentemente era necessaria una complessiva riscrittura.
Ritroviamo il solo ‘Giuseppe Baiguera quondam Domenico da Verola Vecchia’ vent’anni dopo, nel giugno 1764 allorchè prende in affitto il mulino con decorrenza dal primo gennaio 1765. Vi resterà però solo tre anni, fino al 31 dicembre 1767 quando gli subentrerà ‘Girolamo e Pietro fratelli Grazioli’. Vent’anni dopo è il figlio di Girolamo, ‘domino Carlo Grazioli quondam Girolamo abitante in detta terra’ di Scorzarolo che stipula un nuovo contratto di affitto triennale con decorrenza il 2 gennaio 1789.
Conclude la serie documentata dei mugnai lo stesso Carlo Grazioli, con una nota di proroga del contratto fino all’undici novembre 1799, San Martino. E’ solo il caso di ricordare che il 29 settembre 1797 il Governo Provvisorio Bresciano ordinò la soppressione degli enti religiosi, come abbiamo visto in un precedente articolo, e al momento non sappiamo se il contratto fu confermato e magari anche prorogato alla scadenza dai nuovi proprietari.
I contratti di locazione
I frati di S. Domenico, abbiamo imparato a conoscerli, conducono il loro latifondo con vero spirito imprenditoriale e, nei contratti che stipulano via via nel corso del tempo, emerge il puntiglio, la precisione e l’attenzione affinchè nulla sia lasciato al caso e alla possibile diversa interpretazione delle norme rispetto al volere del proprietario-padrone.
Pertanto, all’inizio di ogni locazione dispongono ‘che l’affituale debba prendere il molino al’estimo che dourà esser fatto da huomini periti eletti di comune consenso’. La stessa operazione dovrà essere fatta alla fine della locazione e servirà sia per il subentrante, che per il molinaro uscente e, in questo modo ‘dourà l’Affittuale rissarcire il convento se l’estimo sarà deteriorato, e similmente dourà il convento rissarcire l’Affituale se sarà migliorato’. Ma attenzione, che l’affittuale non potrà in alcun modo ‘far spese superflue per accrescere l’estimo, e massima nelle pietre cosiché quando le pietre siano andanti e buone per macinare, debbano quelle restare senz’altro, e non uoler leuar le vecchie per metterne di noue’. Quindi la sostituzione delle macine è di stretta competenza della proprietà e il molinaro deve usare le pietre avute in dotazione anche se non sono di gran pregio (andanti).
Nel contratto vero e proprio troviamo invece i ‘capitoli’ ovvero le clausole, i diritti e i doveri, che disciplinano la conduzione del mulino. Esaminiamo per ora solo la parte che riguarda il canone di affitto, rimandando ad un successivo articolo un commento sugli altri numerosi capitoli ugualmente interessanti.
Innanzi tutto la durata. In tutti i contratti è sempre triennale ed inizia sempre il primo gennaio; solo l’ultimo contratto, quello del 14 ottobre 1796 con Carlo Grazioli, prevede l’inizio e la scadenza a San Martino (11 novembre 1796-1799).
Il prezzo pattuito è sempre in natura e con pagamento trimestrale, salvo che nel contratto di Laura e figlioli Albrici del 1729, dove i frati si riservano di richiedere, a loro esclusiva discrezione, il pagamento in denaro. Il canone annuo è stabilito in ‘some’ di frumento e di miglio che variano, dalle venti del 1722 alle trenta del 1792; una soma corrisponde a circa 1,5 ettolitri, quindi dai 30 ai 45 hl che, al peso specifico di circa 80 kg per ettolitro, fanno dai 24 ai 36 quintali annui di frumento e di miglio. Ma attenzione ‘che il tutto sia netto e mondo e di sodisfatione degli Agenti del convento in Scorzarolo’, non solo, ma tutto il dovuto ‘dourà esser condotto e misurato sul granaro delli RReverendi PPadri in Scorzarolo’. Non si misura a terra chè, magari, poi i sacchi prendono un’altra strada o un’altro granaro !
Oltre ai cereali sono sempre previste delle ‘regalìe’, che si riscontrano sempre in quantità costante in tutti i contratti. I frati sono perentori: ‘Che l’affituale sia obligato dare ogni anno di regallia a S. Martino pera sei capponi belli e grossi, che non siano meno di libre dieci per ogni pero; più darà ogn’anno oui sessanta alla pasqua di Ressurezione più darà ogn’anno al Santissimo Natale o nel mese di Gennaio … un animale porcino maschio di pesi dodeci in Convento di Brescia’. Proviamo a fare due conti: sei paia di capponi a S. Martino di almeno 3,2 kg al paio (1 libbra = 320 gr circa), più sessanta uova alla S. Pasqua e un maiale maschio al S. Natale di almeno 12 pesi (1 peso = 25 libbre = 96 kg). Per contro il Convento fornirà ogni anno al molinaro due maialetti, maschio e femmina, da allevare.
Conclusioni
Abbiamo visto con queste note uno spaccato di vita di duecentocinquanta anni fa in un borgo vivo ed operoso, con addirittura quattro edifici contenenti macchine azionate con la sola forza dell’acqua. Pensiamo agli sforzi economici e manuali occorsi per realizzare le rogge che accompagnano ora il paesaggio di pianura e che erano funzionali in quel tempo, oltre all’irrigazione dei campi, anche a fornire la forza motrice principale. Il petrolio di allora !
Fossimo stati più attenti, non avremmo lasciato in abbandono questi quattro edifici ed oggi Scorzarolo sarebbe un luogo unico, meta di visitatori e turisti. Ma d’altronde, fossimo stati più attenti, non avremmo nemmeno lasciato cadere tutto il borgo di Scorzarolo !
Però non tutto è perduto. Esiste ancora un mulino nel territorio verolese, l’ultimo, autentico, mai elettrificato, rimasto così com’era cinquant’anni fa.
Si tratta del Mulino di Monticelli, che si è trascinato fino ad ora grazie alla lungimiranza dei proprietari, che non ne hanno fatto legna da ardere, come purtroppo accaduto in altre situazioni, in attesa di un auspicabile restauro.
Benchè di proprietà privata, è innegabile che questo opificio rappresenti un grande patrimonio culturale comune e sarebbe interesse di tutta la comunità verolese cercare di recuperarlo, in modo da renderlo fruibile ai sicuramente molti potenziali visitatori.
Chissà se ci riusciremo, o magari tra qualche decennio qualcuno si troverà a scrivere: ‘Com’eran belli i Mulini di Monticelli’ ?
Per progetto di tesi di laurea chiedo cortesemente se è possibile la condivisone dei delle immagini dei testi originali e le eventuali traduzioni prodotte.
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