Dalle carte dell’Archivio Storico degli Spedali Civili di Brescia1 emerge una interessante e puntuale descrizione del Mulino di Scorzarolo, fraz. di Verolavecchia. L’occasione è data da uno spiacevole incendio che, senza provocare vittime o feriti, ne distrusse completamente l’interno. Ripercorriamone la vicenda.
Alla Lodevole Amministrazione degli Spedali ed Uniti PP LL di Brescia.
M’affretto a partecipare che questa notte circa le ore due scoppiò un incendio nel locale dell’Edificio Molino da grano di Scorzarolo condotto in affitto da Domenico Loda, e benché si siano prontamente adoperati tanto l’affittuale che il vicinato a Spegnere ciò nulla stante l’Edificio fu distrutto totalmente, meno i muri; senza l’ajuto immediato non si avrebbe riuscito ad isolare dai vicini caseggiati.
Per ora si ignora la causa, e lo si crede accidentale.
Scorzarolo 10 Gennajo 1859 – Giovanni Simoncelli fattore
Così il fattore Simoncelli avvisa tempestivamente la direzione del ‘Pio Luogo Ospitale Maggiore’ di un vasto incendio divampato nella notte nel mulino di Scorzarolo. Ma dov’era questo mulino?
La mappa del 18072 redatta dall’ing. Giambattista Cagiada ne dà la precisa posizione. Dal ponte sul vaso Lusignolo, osservando verso valle, sulla destra vi era l’edificio del torchio, con due macine d’olio, più a valle l’edificio del molino, con una macina per il ‘formentone’ ed una macina per il grano; a valle di questo vi era l’abitazione del mugnaio. Sulla sinistra era l’edificio della ‘pista da riso’, con due ruote e sei pestelli e, più a valle, l’edificio della segheria di legnami.
Quattro opifici al servizio del latifondo, raggruppati sulle rive del vaso Lusignolo che ne sfruttavano almeno due poderosi salti d’acqua, visibili più o meno anche oggi. Un sistema di partizioni e derivazioni di acque molto complesso e sapientemente regolato. È sempre l’ing. Cagiada che ne annota la priorità dei diversi opifici.
Nel caso di penuria che si ritiene che possa succedere dalla madonna di magio, a quella di Settembre l’acqua si divide tra gli edificj come segue, il mercoledì e giovedi viene usata dalla Pista, nei rimanenti giorni ad esclusione della domenica, le acque servono al molino, e questo gode la prerogativa di poterle adoperare intieramente ad esclusione della Rasica, la quale non ha alcun diritto d’acqua, ma soltanto quando ve n’è abbondanza.
Ma torniamo all’incendio che distrusse il molino. Abbiamo visto che il solerte fattore, probabilmente di buon mattino di quel 10 gennaio 1859, si è recato in città, ed ha già dato la cattiva notizia ai dirigenti dell’Ospedale. L’amministratore dell’Ospitale Maggiore, Antonio Pitozzi, non frappone indugi e, lo stesso giorno, inoltra l’opportuna denunzia all’agente generale in Brescia della Riunione Adriatica di Sicurtà di Trieste, Carlo Borghetti, così come previsto dalle condizioni di assicurazione della polizza sottoscritta il 28 ottobre 1854.
Il perito incaricato dall’agenzia assicurativa, ing. e arch. civile Antonio Trevi e il perito incaricato dalla proprietà, arch. Girolamo Zamboni, si recano perciò sul luogo del disatro per verificarne l’entità del danno, accompagnati dall’agente generale in Brescia Carlo Borghetti.
Non abbiamo notizie sulla data del sopralluogo e nemmeno su quella della redazione della perizia, tuttavia la quietanza, a completa tacitazione del risarcimento dei danni, è emessa a distanza di appena trenta giorni dopo il disastro: una pratica sbrigata in brevissimo tempo anche per l’attualità.
L’edificio del mulino
Il Fabbricato ad uso Edificio di macina da grano di cui sopra si eleva sopra un’area di lunghezza Metri 13,42. compreso il portichetto interno, lunghezza ragguagliata Metri 9,37. comprese le Machine esterne, ed il Porcile – altezza ragguagliata Metri 4,60 composte [?] come segue, esclusa l’abitazione del Mugnajo, che non venne danneggiata.
1°. Locale delle Macine lungo Metri 10,30. ragguagliatamente largo Metri 5,87 ragguagiatamente alto ragguagliatamente Metri 4,60 con suolo di terra – tetto a due pioventi con tre travi armate, sei mezzarole, tre colmarecci, travetti, tavelloni e coppi, il quale tetto si estende verso mezzodì, formando un portichetto per la lunghezza di Metri 2,40 per tutta la larghezza del fabbricato di Metri 4,65. muri rabboccati internamente, meno la parete di monte ingresso a mezzodì con uscio di abete in due ante di luce Metri 1,40. per Metri 2,00. foderato e ferrato e cancello di legno d’albera di metà altezza – due altre aperture d’ingresso a mattina, e ognuna con uscio a un anta di albera, attraversata e ferrata di luce 0,60 per Metri 1,75 _ sette finestrelle delle quali quattro con ferriata ferro, ed antelle scure interne – camino in angolo nord-ovest, con cappa di sotto intelerata di legno , e gradino di pietra e mattoni con sedile di legno – vano ad uso armadio nel muro di monte – Scaletta di accesso al Ponticello delle Marghe[…] in angolo di Nord-est con cinque gradini appoggiata al muro di sera, ed ai pulpiti in seguito descritti, vi è il voladigaro[?], ove si raccoglie la polvere finissima della farina , formato da travetti ed assi, lungo Metri 9,60 – largo Metri 3,30 ossia di Mq 31,68: Nel lato di mattina vi sono le due Macine da grano, l’una pel granoturco, l’altra pel frumento.
L’edificio adibito a mulino è lungo 10,30 m, largo 5,87 m e alto 4,60 m, mentre l’area di pertinenza è di poco più grande considerando un porcile esterno ed il portichetto posto a mezzodì. Il tetto è a due falde con tre capriate (travi armate), terzere di falda (mezzarole), terzere di colmo (colmarecci), travetti, tavelle in cotto e coppi. L’ingresso è a sud, mentre in lato di mattina vi sono due aperture, probabilmente per il governo dell’acqua. Non è chiara la descrizione del ‘voladigaro3, ove si raccoglie la polvere finissima della farina’, pare un’attrezzatura di notevoli dimensioni: 9,60 x 3,30 m.
L’impianto molitorio
Prima macina verso monte composta come segue.
Il pulpito tutto di legno rovere, lungo Metri 2,60 al sopra terra Metri 3,45 – largo Metri 1,90 con fondo di assi grosse 0,08 – due sponde grosse 0,06 per l’altezza di Metri 1,20, e per l’altezza di Metri 1,70 di asse d’albera con panni di tela, sei colonnette di rovere verticali coi relativi traversi orizzontali. Due pietre gevra[?] per la macina, del diametro di Metri 1,35 – altezza l’una di metri 0,28, l’altra metri 0,32 con superiore tramoggia di legno. Dette pietre sono messe in movimento dal relativo sottoposto rodesino, composto dell’arbore cerchiato di ferro, alla cui estremità esterna vi è la Ruota a pale, del Diametro di Metri 3,30, ed al di dentro ruota dentata unita all’arbore che va ad ingranare il Cavviolo[?] di legno cerchiato di ferro, il quale si unisce alla pietra gera superiore mediante il palo di ferro con sola rolla e rollino – Civergale[?] interno per appoggiare l’arbore – stanga per le pietre – scaletta con balladore in legno di accesso alla macina, serve anche per mettere in movimento, con attigua mola mediante piccolo arboretto[?] con cavviolo – tutto il rodesino suddetto si interna nel suolo per la profondità di Metri uno lunghezza Metri 2,10 – larghezza 1,00 circoscritto da muro di pietra e mattoni.
La seconda macina del frumento è in tutto conforme ed eguale alla precedente, ad eccezione che le pietre sono l’una di gera di grossezza Metri 0,16, e l’altra verde di grossezza 0,16.
A servigii della suddetta Macina, vi sono disposti lungo il lato di sera tre furloni[?] ossia Burattoj forniti di seta, un Cassone per la Biada, e due cassetti per la semola.
2. A mattina del precedente locale, trovasi il Meccanismo esterno, delle suddette Macine, costituiti da due canali in vivo per le ruote sopra descritte, ed altro canale simile per scaricatore, con tre Bocche, coi relativi gardinali, e paratoie e ponticella delle Marghe.
La descrizione dell’impianto molitorio è molto precisa e dettagliata, corredata dalle dimensioni rilevate in quell’occasione. Così sappiamo, ad esempio, che la ruota esterna della macina a monte misurava 3,30 metri di diametro ed uguale era quella della macina a valle per il frumento. Purtroppo, di molti termini specifici citati, tradotti dal gergo popolare e mezzo italianizzati, se ne è persa la memoria e non se ne trova traccia nei testi specializzati dell’epoca.4 Anche il tipo di pietra impiegata per le macine -nel testo si fa riferimento indifferentemente a ‘gevra, gera, gerra, gerria’– è sconosciuto e senza più precisa classificazione geologica non è possibile risalire al tipo e provenienza.
Il funzionamento del mulino ad acqua è schematizzato nell’illustrazione a lato, tratta da ‘P. Dalla Bona – Mulini battiferro ed altri opifici ad acqua del torrente Cosa da Pradis a Lestans PN – Gruppo Archeologico Archeo 2000 – 2016‘.
È solo il caso di ricordare che a Verolavecchia, e precisamente a Monticelli d’Oglio, esiste ancora un mulino ad acqua con mole in pietra, integro, mai elettrificato e perciò autentico nelle sue componenti tipiche di quell’epoca; purtroppo i tarli ultimamente ne hanno fatto un loro rinomato ristorante!
Sarebbe necessario che ‘chi di competenza’ ne riconosca l’enorme importanza culturale e didattica per poter poi agire di conseguenza!
La perizia dell’ing. Antonio Trevi, controfirmata dall’arch. Zamboni si conclude con la stima dei danni per la cui definizione procede con un minuziosissimo computo metrico e preventivo della spesa da sostenere per ripristinare l’opificio in tutte le sue parti, idoneo a riprendere l’attività molitoria. Il costo di ricostruzione è stimato in 3.180,02 lire austriache, corrispondenti a 1.113,00 fiorini nuovi. L’assicurazione pagherà effettivamente il rimborso dei danni dovuti all’incendio, pari a fiorini 1.113,00, in data 11 febbraio 1859, come da quietanza controfirmata.
Stima dei danni
L’elenco delle opere da eseguire è assai curioso poichè riporta i prezzi unitari dei matreiali e della mano d’opera in vigore nel 1859. Lo si riporta integralmente.
Tra le voci descrittive di elementi non più riconoscibili e dei quali se ne ignora la funzione -soladigaro, pietra gera, rodesino, sola, rolla, rollino, civergale- ve ne sono altre comprensibili e sulle quali si possono fare alcune considerazioni di carattere meramente economico.
È il caso della voce relativa alla manodopera, citata ai punti: (a), (b) e (m) – muratore con manovale e (l) – giornate da muratore e da badilante. E così veniamo a sapere che nel 1859 una giornata di muratore era pagata 2,00 lire austriache, il badilante £ 1,30 ed il manovale £ 1,15, mentre un mattone costava quattro centesimi £ 0,04 ed un coppo £ 0,05. Perciò se ne deduce che una giornata di muratore -non certo di sole otto ore- aveva un costo pari a quaranta coppi. Attualmente un coppo fatto a macchina ha un costo di circa 0,60€ ed un coppo usato, antico, fatto a mano, circa 1,00€; perciò, rapportato ad oggi, una giornata di lavoro da muratore sarebbe pagata 40,00€. Al lettore le considerazioni.
Il contratto di ricostruzione
L’Ospedale Maggiore procede speditamente per la ricostruzione dell’opificio e già il 1° febbraio 1859 sottoscrive il contratto di appalto con due ‘edificieri’ precedentemente individuati: Capra Gio. Battista e Dalè Giovanni, probabilmente maestranze specializzate nella costruzione dei mulini. L’importo complessivo delle sole opere attinenti alle macchine molitorie e impianti annessi è concordato in 1.255,00 lire austriache (circa 420 fiorini).
Nel contratto sono indicati anche i tempi di esecuzione dei lavori. L’inizio dei lavori è fissato a lunedì 7 febbraio 1859. I fabbricieri hanno venti giorni di tempo per mettere in funzione una ruota ed altri dieci per mettere in funziona nche l’altra. Il tutto deve essere completato in ogni parte entro quaranta giorni, ovvero entro il 19 marzo 1859, con penale di cinque lire austriache per ogni giorno di ritardo alle rispettive scadenze.
Il consuntivo di spesa
A fine lavori viene redatto anche un consuntivo di spesa, interessante perchè riporta i nomi delle ditte fornitrici delle varie opere. Tra gli altri si nota che le pietre molitorie sono fornite dalla ditta Ferrante e Vitali di Brescia, i laterizi sono forniti da Vincenzo Spagnoli e la manodopera è fornita da Pietro Brunelli capomastro.
La forza motrice (idraulica)
Rimane un’ultima curiosità, ovvero da dove proveniva l’acqua che forniva la forza motrice per i quattro opifici di Scorzarolo. È sempre la mappa del solerte ing. Giambattista Cagiada che ci viene in soccorso.
[1] – ASSC – busta 610-3.
[2] – ASBS – Ospedale Maggiore, mappa n. 17.
[3] – Olàdigå (friscello) = fior di farina che vola nel macinare e rimane attaccata ai muri del mulino (Cfr. G.B. Melchiori – Vocabolario bresciano-italiano – Brescia, 1817); cfr. anche ‘Glossario dei termini molitori’ https://aiams.eu/archivio-mulini/glossario.html
[4] – G. Cadolini – L’architettura pratica dei mulini – Milano, 1835; A. Cantalupi – Manuale pratico per la costruzione dei molini da macina dei grani – Saldini, Milano 1868
Per altre informazioni sui mulini: cfr. Associazione Italiana Amici dei Mulini Storici https://aiams.eu