Qualche sommaria considerazione, visto che non se ne parla, intorno all’auspicabile recupero e valorizzazione dell’antico possedimento, nella illusoria speranza che altri vogliano aggiungersi.
Premessa
Scorzarolo, frazione di Verolavecchia nella bassa pianura bresciana, rappresenta un esempio più unico che raro, trattandosi di un vasto latifondo pervenuto pressoché intatto fino ai nostri giorni attraverso solamente due passaggi di proprietà: nel 1514, allorché pervenne ai frati di S. Domenico di Brescia per testamento del precedente proprietario Luigi Testa, e nel 1797 per decisione del Provvisorio Governo Bresciano che dispose la confisca dei beni degli enti ecclesiastici a beneficio dell’Ospital Maggiore, oggi Spedali Civili, di Brescia.
Una storia documentata da una mole sterminata di documenti conservati negli archivi pubblici della città, ricostruibile in ogni aspetto a partire dalla prima metà del XV sec. con l’archivio Testa e fino ai giorni nostri (o quasi). Una storia così ben documentata e conservata, che attende solo di essere studiata, non può prescindere dal tentativo seppur ipotetico di porre le basi per un auspicabile recupero anche degli immobili che ne compongono il paesaggio urbano.
Lo stato di conservazione.
Nel caso di Scorzarolo, volendo tentare un approccio sistematico per un suo ipotetico, auspicabile quanto aleatorio recupero e valorizzazione è necessario quanto meno considerare le diverse tipologie dello stato di conservazione degli immobili che compongono l’antico borgo. Ne distinguerei quattro.
Archeologia industriale.
Si tratta sostanzialmente dei resti dei quattro opifici un tempo attivi sulle due sponde del vaso Lusignolo a valle del ponte di Scorzarolo e dei quali rimangono tracce ancora ben visibili sia dei partitori d’acqua che delle fondazioni. Un ipotetico intervento di mera pulizia del corso d’acqua e delle sue sponde potrebbe restituire elementi interessanti.
Gli edifici perduti.
Si tratta di edifici rurali di abitazioni, stalle, fienili e barchesse in pessimo stato di conservazione, già in parte crollati o con danni irreparabili alle coperture, recuperabili solo con eventuale demolizione e ricostruzione o con interventi di gravosa ristrutturazione. Alcuni edifici paiono ancora recuperabili, pur se con ampi squarci nelle coperture, ma ovviamente il recupero è fattibile solo se finalizzato ad un riuso produttivo.
Gli edifici funzionali alla conduzione del fondo.
Restano ancora alcuni edifici di abitazioni rurali, stalle, fienili e barchesse in discreto stato di conservazione che sono tuttora utilizzati per la conduzione del fondo. Ne fanno parte anche le stalle dei bovini di recente costruzione e la cosiddetta ‘corte rustica’, la cascina grande di Scorzarolo con due grandi stalle in disuso, ingentilite con volte a crociera in mattoni e colonnette di pietra.
I fienili soprastanti, anch’essi praticamente in disuso, conservano una bella copertura lignea con travi di rovere. Le vecchie stalle sono molto interessanti ed in discreto di conservazione. Attualmente vi si accede interferendo con gli spazi destinati alla conduzione del fondo, ma potrebbero essere rese totalmente indipendenti ripristinando i loro accessi dalla via pubblica.
Il loro recupero, che pare non eccessivamente difficoltoso, potrebbe restituire ambienti molto particolari ed unici e probabilmente anche in grado di suscitare un qualche interesse economico – produttivo.
La corte monastica.
È la parte più interessante dell’intero complesso, l’antico ‘castello di Scorzarolo’, documentato ed illustrato nella mappa del 1655 conservata presso l’archivio di Stato di Brescia. Si trova su una posizione rialzata rispetto al terreno circostante e completamente separato dalla corte rustica, ma dipendente da essa per l’accesso carraio e pedonale. Tutta la parte della corte monastica potrebbe essere resa indipendente e staccata dalla corte rurale poiché dotata di un antico ingresso indipendente dalla via pubblica, in disuso da decenni.
Conserva al suo interno stanze, un tempo abitate, con volte a padiglione, alcune decorate. Vi sono anche vasti ambienti sottotetto, un tempo adibiti a granai, con coperture in legno di rovere e coppi e pavimenti in mattoni. In angolo nord-est è la chiesetta anticamente dedicata a S. Giacomo alla quale si accede sia dalla corte monastica, passando dalla sacrestia, sia dall’ingresso principale nella corte rustica.
Nella foto qui a lato i partecipanti alla prima visita guidata, organizzata dall’Associazione Terra&Civiltà nel lontano aprile 1997.
Per gentile concessione del conduttore dell’epoca Sig. Giovanni Scanzi e con la sapiente relazione del Prof. Angelo Bonaglia si sono potuti visitare tutti gli ambienti interni dell’antico castello.
L’intero complesso della corte monastica presenta in alcuni punti danni alla copertura con alcuni squarci nel tetto ben visibili dall’esterno.
Recupero e valorizzazione.
Se ci si limita a considerare il recupero unicamente come conservazione dello stato dell’esistente, scongiurando in tal modo il peggioramento strutturale e il conseguente crollo degli edifici, è chiaro che si intende una mera operazione che ha nel provvisorio e nell’estemporaneità le sue basi fondative.
Una operazione che prescinde da una visione più ampia e la cui progettazione si limita alla parte meramente strutturale degli edifici. Se poi questa operazione sia demandata al conduttore del fondo, è del tutto evidente che l’impiego di capitali sarà certamente finalizzato ad evitare il peggioramento delle strutture, in modo da riconsegnarle alla fine della locazione in uno stato di conservazione appena accettabile da parte della proprietà.
Viceversa, quando si parla di ‘valorizzazione’ credo si voglia intendere quel processo con il quale si cerca di suscitare l’interesse di soggetti economici intorno ad un bene, in modo che se ne possano cogliere prospettive di utilizzo a lungo termine. Ed è da questo esercizio di lungimiranza che ne potrebbe derivare la concreta disponibilità a sostenere un costo, piccolo o grande, per usufruire di queste potenzialità e, in definitiva, è da qui che se ne potrebbero ricavare le risorse per il recupero ed il mantenimento dell’immobile.
Questo processo di valorizzazione, credo non possa prescindere dal coinvolgimento della società civile locale che conosce il territorio e ne ha a cuore, più di altri, il recupero e la sua valorizzazione.
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Un esempio concreto.
Un esempio concreto e ben riuscito è proprio qui vicino a noi: la Fondazione Castello di Padernello costituita nel 2005 con capitali pubblici e privati ha reso possibile il recupero graduale dell’immobile e la sua contemporanea valorizzazione. Nei primi anni 2000 il castello era ridotto ad un rudere infestato dai rovi e con il torrione parzialmente crollato. Con sagacia, passione e capacità non comuni l’omonima Fondazione, costituita per il 51% dal comune di Borgo San Giacomo e per il 49% da privati, oltre che il recupero del castello, ha incrementato in modo notevolissimo l’economia della piccola frazione del comune bassaiolo.
Certamente servono, come si diceva, capacità non comuni, ma, prima di ciò, credo serva una potenziale disponibilità da parte della proprietà ad instaurare un nuovo tipo di approccio per poter conseguire l’interesse comune, della proprietà e della società locale, di veder restituito ad una qualche utile funzione questo importante pezzo di storia.