La manutenzione degli edifici si sa è fondamentale per il mantenimento nel tempo del valore degli immobili. Una manutenzione attenta, puntuale e costante nel tempo è altresì garanzia della economicità delle lavorazioni necessarie per mantenere in buono stato gli immobili e costituisce quindi un ottimo rapporto tra la qualità degli interventi ed il costo da sostenere.
Per contro, la scarsa manutenzione è inevitabilmente sinonimo di perdita di valore. I crolli negli edifici, specie se questi sono vetusti, sono quasi sempre riconducibili ad una insufficiente manutenzione. Il più delle volte è sufficiente una tegola (coppo) rotta dal gelo o spostata dal vento per scoprire un piccolo pertugio dove l’acqua, che si sa ‘la ga mìgå i córegn’ -non ha le corna per i non bresciani- incredula di tanta dabbenaggine, vi si getta a capofitto e, non appena individuata una bella trave di legno, vi si accomoda per una possibile lunga permanenza. È l’inizio della fine. Se non si interviene tempestivamente la trave presto si deteriorerà e, gravata dal peso della copertura soprastante, non potrà che soccombere. Una volta crollato il tetto, il fabbricato è praticamente perduto.
È quello che è accaduto in questi ultimi decenni di abbandono al borgo di Scorzarolo, dove l’incuria ha provocato disastri ed ha causato la perdita di immobili ormai irrecuperabili. Molti edifici del piccolo borgo sono cosi passati dall’avere un valore proprio, grande o piccolo che sia, a rappresentare un costo oneroso per il definitivo abbattimento e lo sgombero delle macerie.
Una volta non era così. Finchè gli edifici furono abitati dai coloni si mantennero in buone condizioni; l’abbandono delle campagne, iniziato negli anni sessanta del secolo scorso, rese poco interessante da parte della proprietà il mantenimento in buon ordine dei fabbricati ed iniziò così un lungo ma inesorabile declino.
Se vogliamo andare un poco più indietro nel tempo, vediamo che l’attenzione per i fabbricati era invece molto sentita. I frati di S. Domenico, proprietari del latifondo dal 1515 al 1797, avevano ben chiara la necessità di una manutenzione costante ed accurata degli immobili. Da sempre alla ricerca della massima resa con la minima spesa, erano ben consapevoli dell’importanza di questi interventi manutentivi. E così, il 18 novembre del 1716 pensarono bene di affidare a ‘messer Gio: Battista Feragone muratore in Scorzarolo il risarcimento e mantinimento di tutte le fabriche apartenenti al Conuento di Santo Domenico di Brescia sitte tanto in Scorzarolo quanto in Cadignano’.
Un grosso incarico quindi, ma vediamo in dettaglio i compiti cui sarà tenuto il nostro mastro muratore. Egli dovrà ‘riquattare’, ossia ripassare tutti i tetti di tutti gli edifici, case, fienili, portici, chiese, ecc. ed anche rifare tutti ponti, sia di lastre di pietra che di mattoni, compresi i manufatti irrigui ‘chiaveghetti, chiavegoni, soratori, ecc’. Anche le muraglie sono sottoposte alle cure del mastro: ‘tutte le muraglie anco i recinto, et in caso che quelle di recinto cadessero riffarle del tutto’, però fino alle dimensioni di sei braccia bresciani -circa tre metri- oltre tale misura si prenderanno invece accordi specifici tra il convento ed il muratore.
Dovrà il nostro anche ‘Riffare pure tutti li pilastri, e porte, o usci e far soffitti di stalle con trauelli, e tauelle, uolendoli far di nouo li Patroni, e tener agiustati li gia fatti’. C’è anche un accenno alla ghiacciaia e da qui veniamo a sapere che la sua costruzione è certamente antecedente al 1716: ‘Agiustare la giassera con porui trauelli, e paglia’. Non è chiaro cosa si intenda con porvi travetti e paglia, forse si tratta semplicemente di rimettere uno strato isolante alle pareti, verosimilmente fissato alle murature con travetti di legno.
La conclusione è chiara e senza fraintendimenti: ‘in somma fare tutto ciò che bisognerà aspettante al mestiere di muratore; toltone però che non sarà obligato far muraglie, o qual si sia altra fabrica noua tanto dè ponti come di chiauighe’. Parliamo quindi esclusivamente di manutenzioni e mai di opere nuove per le quali, evidentemente, si concorderà di volta in volta un nuovo contratto.
L’incarico è prettamente di subordine, non essendo nella discrezione del muratore la scelta delle priorità delle lavorazioni, ma egli ‘debba andare a lauorare in ciò che é obligato doue sarà comandato dal Pre Vicario o altro Pre in suo luogo’, tranne che per la manutenzione di ‘chiauighe e chiauegoni e chiaueghetti che anche in caso che non fosse comandato, doueranno essere agiustati in buona e laudabile forma ogni anno per tutto il mese d’apprile’. Immaginiamo quindi che il nostro muratore, nel periodo invernale e ad inizio primavera, avrà dovuto ispezionare tutti i manufatti irrigui per verificarne l’integrità ed il buon funzionamento, in vista dell’apertura della stagione adaquatoria. Per il resto egli si dovrà attenere agli ordini di lavorazione che saranno impartiti dal padre preposto pro tempore alla gestione del latifondo.
Che l’incarico sia da dipendente, ovvero per la sola manodopera, si evince anche dal paragrafo successivo, dove dice che ‘il Conuento sii però obligato a somenistrargli tutto il materiale, e pagarli scudi trenta da berlingotti sette luno ogni anno’. Tutto il materiale è quindi fornito dal convento, presumibilmente su indicazione dello stesso lavoratore, e fornito sul posto a cura dei massari delle diverse possessioni come abbiamo visto in una nota precedente.
Per quanto riguarda la mercede, un berlingotto potrebbe equivalere a una lira bresciana [1]; trenta scudi sono quindi 210 lire all’anno. Per confronto, nell’estimo del 1641, la casetta dell’eremita di San Pietro, il cui contratto di immissione è stipulato nello stesso giorno di questo del muratore, è valutata 100 lire.
Si prendano con le molle queste indicazioni, fare confronti di questo tipo è sempre azzardato; sarebbe da sapere che magari la casetta dell’eremita era poco più di una baracca e fors’anche che il lavoro del muratore era tenuto in grande considerazione, tuttavia sembrerebbe anche una bella sommetta.
L’incarico è ‘per anni tre per li quali soli tre anni s’intende che debba durare, et hauer uigore il presente scritto quanto per una parte come per l’altra’. Un lungo contratto quindi, praticamente un muratore fisso alle dipendenze dei frati, con l’unica incombenza di tenere in ordine gli edifici ed i manufatti irrigui. Tradotto ad oggi, con il contratto edile vigente, si tratterebbe di investire dai cinquantamila ai sessantamila euro all’anno per disporre delle prestazioni di un operaio edile specializzato per sei giorni alla settimana per cinquantadue settimane. Vien da chiedersi se con sessantamila -anche meno- euro all’anno, investiti in manutenzioni, non si sarebbe evitato tanto sfacelo, ma questa è un’altra faccenda.
Per tornare al nostro bravo mastro muratore, occorre aggiungere che l’incarico inizia il 20 novembre 1716, ovvero due giorni dopo la stipula; forse che il convento avesse bisogno urgente di sistemare i manufatti irrigui in vista della buona stagione. Più sotto però, con nota successiva, si apprende che il contratto è rinnovato per altri tre anni. In totale quindi sei anni continuativi di lavori di manutenzione.
Evidentemente i frati sono stati soddisfatti delle prestazioni del dipendente, … e certamente i lavori da fare non mancavano.
[1] Informazione tratta da ‘Gianpietro Belotti – Oro, argento americano e ascesa dei prezzi nel mercato bresciano (secoli XV-XVII)’ in ‘Giornata bresciana di studi colombiani nel V centenario della scoperta dell’america – Supplemento ai commentari dell’ateneo di Brescia – 1994’